La marionettistica dei fratelli Napoli: un’arte da salvare e tramandare in attesa di uno spazio adeguato

La marionettistica dei fratelli Napoli, fondata nel lontano 1921 da Don Gaetano Napoli e oggi giunta alla sua quinta generazione, da sempre combatte contro la sordità delle Istituzioni per portare avanti la tradizione catanese dell’arte dei Pupi, dal 2001 patrimonio dell’Unesco.

Nel 2014 sono stati costretti a lasciare lo spazio all’interno della Vecchia Dogana, trovando ospitalità in un centro commerciale.


In attesa della- già da lunghissimo tempo- promessa riconsegna del Teatro Stabile delle Ciminiere  e dopo le stagioni del Teatro-Museo nei locali di Vecchia Dogana, complesso chiuso a causa dell’insipienza intellettuale dei titolari d’impresa, i fratelli Napoli sono stati costretti a chiudere i propri paladini in un garage in attesa di una sede permanente.

Ma perché  le istituzioni non accelerano i tempi di riconsegna del Teatro delle Ciminiere (quando? Alle Calende greche?), magari fornendo ai Napoli nei locali del centro fieristico un adeguato spazio museale per i loro materiali storici?

E così i Pupari, gli stessi che  un tempo viaggiavano con la tradizione per conquistare il mondo, oggi, se per causa di forza maggiore si paventasse l’esigenza di uno sgombero dei locali alle Porte di Catania, a causa di un sistema burocratico dedalico e l’indifferenza di chi dovrebbe vigilare e promuovere crescita e sviluppo, rischiano di scivolare nell’oblio insieme all’intera identità siciliana.

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Gesualdo Bufalino scriveva:

Vi è una Sicilia “babba”, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio…

Tante Sicilie. Chiunque aspiri ad una Sicilia ribelle e fiera deve iniziare col difenderla da chi minaccia di derubarla della sua storia e della sua tradizione.  Se  le istituzioni non sono in grado di garantire la conservazione del patrimonio culturale, spetta al cittadino prendersene cura e intervenire. Presto, anzi subito, prima che sia troppo tardi.


 

Questo articolo è interamente un contributo di Erika Magistro, dottoressa in lettere classiche e specializzata in archeologia. Collabora da un anno con la casa editrice catanese Villaggio Maori, presidente dell’associazione culturale Talìa.

 

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